Lasciami venire con te. Che luna stasera! Vincent Van Gogh, Passeggiata al chiaro di luna |
La sonata al chiaro di luna
Lasciami venire con te. Che luna stasera!
La luna è buona – non si vedrà
che si sono imbiancati i miei capelli. La luna
me li farà di nuovo biondi. Non te ne accorgerai.
Lasciami venire con te. [...].
Ci sederemo un poco sul muretto, sull’altura,
e rinfrescandoci al vento di primavera
forse immagineremo pure di volare,
perché spesso, e perfino ora, sento il fruscío della mia veste
che pare il battito di due ali forti,
e quando ti chiudi in questo rumore del volo
senti irrigidirsi il collo, i fianchi, la tua carne,
e cosí stretto nei muscoli del vento azzurro,
nei nervi robusti dell’altezza,
non ha importanza che tu parta o torni
né conta che i miei capelli siano bianchi,
(non è questo che mi dà pena – mi dà pena
che non mi s’imbianchi anche il cuore).
Lasciami venire con te.
Lo so, ciascuno cammina da solo verso l’amore,
solo verso la gloria e la morte.
Lo so. L’ho provato. Non giova a niente.
Lasciami venire con te. [...].
- Ghiannis Ritsos
Traduzione di Nicola Crocetti
Yiannis Ritsos (Monemvasia, 1 maggio 1909 – Atene, 11 novembre 1990) è stato un poeta greco.
Ritsos è considerato come uno dei più grandi poeti greci del ventesimo secolo, insieme a Konstantinos Kavafis, Kostis Palamas, Giorgos Seferis, e Odysseus Elytis. Il poeta francese Louis Aragon una volta ha detto che Ritsos era "il più grande poeta del suo periodo". Ritsos è stato proposto 9 volte, senza successo, per il Premio Nobel per la Letteratura. Quando il poeta vinse il Premio Lenin per la pace (conosciuto anche come il Premio Stalin per la Pace), assegnatoli nel 1975-76, egli dichiarò che "questo premio è più importante per me rispetto al Premio Nobel".
Lasciami venire con te. È bella la luna stasera!
RispondiEliminaÈ buona la luna, – non riluceranno
i miei bianchi capelli. La luna
farà d’oro ancora i miei capelli. Non lo capirai.
Lasciami venire con te.
La luna fa grandi le ombre dentro la casa,
mani invisibili tirano le tende,
leggero un dito scrive sulla polvere del piano
parole dimenticate – non le voglio sentire. Non parlare.
Lasciami venire con te,
un po’ più giù, fino al recinto della fornace,
fin là dove gira la strada e appare
la città di cemento e d’aria, fatta bianca dal chiarore della luna,
così indifferente e immateriale
così positiva metafisica quasi
da credere finalmente che esisti e non esisti
che non sei mai esistito, non è mai esistito il tempo e la sua rovina.
Lasciami venire con te.
Ci sediamo un po’ sul muretto, sull’altura,
e con il vento di primavera che ci trascina
potremmo immaginare persino di volare,
perché, molte volte, e anche ora, sento il rumore del vestito
come il rumore di due forti ali che si aprono e si chiudono,
e quando ti chiudi dentro a questo rumore del volo
senti il suono cupo della gola, dei tuoi fianchi, della carne,
e così avvolto dai muscoli del vento azzurro,
nella vigorosa tensione della quota,
non importa se parti o se ritorni
e non importa neppure se sono ormai bianchi i miei capelli,
non è questo il mio dolore – il mio dolore
è che non imbianca anche il mio cuore.
Lasciami venire con te.
Lo so che ognuno cammina da solo nell’amore,
da solo nella gloria e nella morte.
Lo so. L’ho provato. Non giova.
Lasciami venire con te.